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Aids, in calo nuove diagnosi Hiv. Ma cresce contagio fra giovani

I dati dell'Iss in vista della Giormnata Mondiale del 1 dicembre.

Diminuiscono progressivamente in Italia dal 2012 le nuove diagnosi di infezione da HIV, soprattutto nell’ultimo biennio, con un’incidenza che è lievemente inferiore a quella delle altre nazioni dell’Unione Europea. Ma il numero più frequente di nuove diagnosi si registra nella fascia d’età 25-29 anni, l’età mediana invece è 39 anni per le femmine e 40 anni per i maschi. Rispetto agli anni precedenti, inoltre, cambia la modalità di trasmissione: nel 2019 per la prima volta la quota di nuove diagnosi HIV riferibili a maschi che fanno sesso con maschi (MSM) ha raggiunto quella attribuibile a rapporti eterosessuali (42%), che invece è stata da sempre la modalità più frequente. Il 60% delle persone diagnosticate con infezione da HIV nel 2019 erano già in fase avanzata di malattia e ignoravano di essere HIV positive già da molto tempo.

Sono questi i dati più recenti raccolti ed elaborati dal Centro Operativo AIDS dell’ISS e diffusi in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS che ricorre il 1° dicembre. Secondo il rapporto del COA “nel 2019 sono state segnalate 2.531 nuove diagnosi di infezione da HIV pari a 4,2 nuovi casi per 100.000 residenti e dal 2016 si osserva una diminuzione del numero di nuove diagnosi HIV in stranieri, mentre dal 2017 aumenta la quota di persone a cui viene diagnosticata tardivamente l’infezione da HIV, nel 2019: 2/3 dei maschi eterosessuali e oltre la metà delle femmine con nuova diagnosi HIV sono stati diagnosticati in fase avanzata di malattia”.

“Un terzo delle persone con nuova diagnosi HIV nel 2019 – rileva l’Iss – scopre di essere HIV positivo a causa della presenza di sintomi o patologie correlate con HIV. Il numero di decessi in persone con AIDS negli ultimi anni è rimasto stabile intorno a 500 casi per anno, mentre nel 2019 diminuisce la proporzione di persone con nuova diagnosi di AIDS che scopre di essere HIV positiva nei pochi mesi precedenti la diagnosi di AIDS. Nel 2019, le incidenze più alte sono state registrate in Lombardia e Lazio. Le persone che hanno scoperto di essere HIV positive nel 2019 erano maschi nell’80% dei casi. L’età mediana era di 40 anni per i maschi e di 39 anni per le femmine. L’incidenza più alta è stata osservata tra le persone di 25-29 anni (10,4 nuovi casi ogni 100.000 residenti) e di 30-39 (9,8 nuovi casi ogni 100.000 residenti); in queste fasce di età l’incidenza nei maschi era 4 volte superiore a quelle delle femmine. Nel 2019, la maggior parte delle nuove diagnosi di infezione da HIV era attribuibile a rapporti sessuali non protetti da preservativo, che costituivano l’84,5% di tutte le segnalazioni”.

Nel 2019, sono stati diagnosticati 571 nuovi casi di AIDS segnalati entro maggio 2020. Dal 1982, anno della prima diagnosi di AIDS in Italia, al 31 dicembre 2019 sono stati notificati al COA 71.204 casi di AIDS. Nell’ultimo biennio 2018-2019 le Regioni che hanno presentato il maggior numero di diagnosi sono nell’ordine: Lombardia, Lazio, Toscana. L’età mediana alla diagnosi dei casi adulti di AIDS mostra un aumento nel tempo, sia tra i maschi che tra le femmine. Infatti, se nel 2001 la mediana era di 39 anni per i maschi e di 36 per le femmine, nel 2019 le mediane sono salite rispettivamente a 47 e 45 anni. I dati relativi alla distribuzione delle patologie indicative di AIDS ci dicono che negli ultimi anni sono diminuite le diagnosi di candidosi e di polmonite ricorrente. E’ aumentata, invece, la quota di diagnosi di sarcoma di Kaposi, di Wasting syndrome e tubercolosi polmonare.

Martedì 1 dicembre 2020, in occasione della Giornata Mondiale di Lotta contro l’AIDS, il Servizio di counselling Telefono Verde AIDS e Infezioni Sessualmente Trasmesse – 800861061 dell’Istituto Superiore di Sanità sarà attivo dalle 10.00 alle 18.00. Contemporaneamente, gli esperti risponderanno anche sul web al contatto Skype uniticontrolaids e all’indirizzo e-mail dedicato esclusivamente alle persone sorde.


Fonte: askanews.it

Medici famiglia: vaccino raccomandato a diabetici e donne in gravidanza

I tassi di diffusione dell’influenza sono in crescita, con il picco previsto prima di Natale. Per questo i medici di famiglia della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie raccomandano di accelerare i tempi ed estendere la copertura delle vaccinazioni antinfluenzali in corso, con particolare attenzione ai soggetti fragili. Questo l’appello lanciato dal 40° Congresso Nazionale SIMG, che è in corso a Firenze, e durerà fino al 25 novembre. “I dati registrati nell’ultima settimana, quella del 17 novembre, hanno riportato circa 400mila persone colpite dal virus influenzale, un’incidenza del 6,7 per mille nella popolazione generale – sottolinea Alessandro Rossi, Presidente eletto SIMG – al momento la diffusione dell’influenza è leggermente superiore alla soglia epidemica, ma si registra un andamento in crescita, con la curva che molto probabilmente proseguirà nelle prossime settimane, fino a raggiungere il picco poco prima di natale”.

Da metà ottobre è attiva la campagna vaccinale in tutte le regioni italiane. “Soprattutto nei soggetti fragili, si devono raggiungere delle coperture maggiori rispetto allo scorso anno, quando il tasso di copertura si è attestato al 56%, ben lontano dal 75% auspicabile e dal 95% ottimale – evidenzia Alessandro Rossi – ogni punto di copertura in più, come confermano i dati della letteratura, corrisponde a un abbassamento diretto della mortalità e dell’ospedalizzazione, che colpiscono soprattutto i pazienti anziani e i più fragili, per i quali la vaccinazione non è più solo consigliata, ma raccomandata. Tra questi vi sono due popolazioni a cui bisogna prestare particolare attenzione: i pazienti diabetici di qualsiasi età, in quanto il diabete per le sue caratteristiche espone maggiormente alle conseguenze più nefaste del virus influenzale, e le donne in gravidanza a qualsiasi settimana, poiché il vaccino è sicuro e protegge sia la donna che il feto. Non va trascurata l’indicazione della vaccinazione a tutto il resto della popolazione giovane e adulta per proteggere sia se stessi che la comunità e i contatti diretti di queste persone. La SIMG ha predisposto strumenti formativi e informativi per favorire le somministrazioni dei vaccini, specificando l’importanza di usarne due specifiche tipologie sulle categorie più fragili, quello adiuvato e quello ad alto dosaggio, che si sono rivelati maggiormente efficaci nel prevenire mortalità e ospedalizzazione”. “La campagna vaccinale contro l’influenza, inoltre – conclude Rossi – rappresenta un fattore in grado di promuovere anche gli altri vaccini per l’adulto, dal booster aggiornato contro le più recenti varianti del Covid-19, da rilanciare fortemente in questa fase, a quelli contro Pneumococco e Herpes Zoster. Sono tutti somministrabili nel corso della stessa seduta del vaccino antinfluenzale”.


Fonte: askanews.it

Rischio di sviluppare deficit sensoriali

Oggi in Italia la percentuale dei bambini nati pretermine varia tra il 7 e il 10%: ogni anno nel nostro Paese nascono prima del termine tra i 25.000 e i 30.000 neonati, circa 1 bambino su 10, la maggior parte non gravemente prematuri (i cosiddetti “late preterm”), mentre sono circa 0.9-1% i nati “molto” o “estremamente” pretermine. Domani 17 novembre ricorre, come ogni anno, la Giornata Mondiale della Prematurità, World Prematurity Day, istituita nel 2008 e riconosciuta dal Parlamento europeo grazie all’impegno della European Foundation for the Care of Newborn Infants (EFCNI), finalizzata a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla nascita pretermine. In occasione della Giornata Mondiale della Prematurità, la SINPIA, Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, sottolinea l’importanza dell’intervento precoce per i bambini a rischio di sviluppare disturbi del neurosviluppo. “La prematurità – spiega Elisa Fazzi, Presidente SINPIA, Direttore della U.O. Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ASST Spedali Civili e Università di Brescia – è una condizione che può comportare un aumento del rischio di sviluppare oltre alla Paralisi cerebrale infantile spesso associata a deficit sensoriali, in particolare visivi e cognitivi di varia entità, disturbi del neurosviluppo, tra cui disturbi dell’apprendimento, del linguaggio e del comportamento, fino ai quadri di disturbo dello spettro autistico o di deficit di attenzione e/o iperattività spesso in comorbidità. L’intervento precoce, che si fonda su strategie di intervento centrate sulla famiglia e sull’arricchimento ambientale, può essere iniziato già nelle prime settimane di vita e può includere interventi di tipo riabilitativo, ma anche di sostegno alla genitorialità con interventi educativi, psicologici e sociali”.

Notevoli passi avanti sono stati compiuti dalla scienza e, oggi, anche per i bambini che nascono prima delle 27-28 settimane la possibilità di sopravvivere è alta, superiore al 70%, sebbene all’aumento della sopravvivenza non corrisponda anche una simile drastica diminuzione delle problematiche presentate a distanza di anni. L’incidenza dei disturbi del neurosviluppo nei bambini nati pretermine è stimata intorno al 20%, mentre la paralisi cerebrale infantile colpisce circa il 10% dei neonati con prematurità di grado elevato, e rappresenta la causa più frequente di disabilità motoria nei bambini. “E facile intuire – interviene Simona Orcesi, professore associato di Neuropsichiatria Infantile presso l’Università di Pavia e membro del Consiglio Direttivo della SINPIA – che più è grave la prematurità, con età gestazionale e peso neonatale molto bassi, maggiormente diminuiscono le possibilità di sopravvivenza mentre aumentano le complicanze, sebbene negli ultimi decenni abbiamo potuto assistere ad un significativo miglioramento delle tecniche ostetriche e delle cure intensive neonatali. Nell’evoluzione neuropsichica dei gravi pretermine sono però ancora presenti fragilità cognitive e comportamentali, difficoltà di regolazione delle emozioni, quadri clinici che rientrano nei disturbi del neurosviluppo che a volte si evidenziano più avanti, in età scolare. Si tratta di problemi spesso considerati più lievi che invece possono compromettere la qualità di vita dei bambini e delle famiglie”.

Le nuove tecniche di studio con Risonanza Magnetica cerebrale stanno dimostrando sempre di più che nascere pretermine può compromettere la maturazione cerebrale, soprattutto per i più prematuri. L’altra faccia della medaglia in questo contesto, però, è che la maturazione cerebrale al di fuori dell’ambiente intrauterino è anche facilmente modificabile grazie alle caratteristiche di plasticità del sistema nervoso in via di sviluppo, cioè alla capacità del sistema nervoso di riorganizzarsi in modo funzionale in risposta a cambiamenti e ad esperienze ambientali.

“Ogni influsso ambientale esterno – aggiunge Elisa Fazzi – si inserisce in un processo di scambio reciproco continuo tra afferenze ambientali e modificabilità delle reti neurali e contribuisce a plasmare l’encefalo stesso. Negli ultimi decenni la ricerca scientifica ha confermato che l’ambiente può influire molto e positivamente sulla plasticità cerebrale: rappresenta un “farmaco” potente che abbiamo a disposizione fin dai primi giorni di vita di un bambino pretermine e può influenzare positivamente il suo sviluppo in condizioni di fragilità, agendo, ad esempio, attraverso meccanismi epigenetici, regolando l’espressione genica ed esercitando un ruolo protettivo”.


Fonte: askanews.it

Ricerca Iqvia per Reckitt

Un italiano su due non ha mai sentito parlare di antibiotico resistenza e il 46% di essi utilizzerebbe gli antibiotici anche per infezioni virali. Inoltre, il 74% dei rispondenti afferma di aver utilizzato antibiotici negli ultimi dodici mesi, e di questi ben il 56% lo ha fatto per infezioni del tratto respiratorio superiore, come mal di gola/faringite, laringite e tonsillite. Questa è la fotografia che emerge dalla ricerca sull’utilizzo degli antibiotici da parte degli italiani e alla loro conoscenza e sensibilità sull’antibiotico-resistenza svolta da IQVIA, società a livello globale nell’elaborazione ed analisi dei dati in ambito sanitario, in collaborazione con Reckitt, una delle società multinazionali nell’ambito dei prodotti OTC per la cura del mal di gola. La ricerca, condotta su un campione di oltre 1.300 individui, rappresentativo della popolazione italiana adulta, e presentata in occasione della Settimana Mondiale sull’Uso Consapevole degli Antibiotici dal 18 al 24 novembre 2023, conferma la necessità di impegno in questo ambito, in cui Reckitt è già attiva a livello globale e pronta a definirsi con concrete progettualità anche in Italia. Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è infatti oggi poco conosciuto dai cittadini italiani, nonostante i dati siano molto allarmanti: annualmente in Italia muoiono circa 11.000 persone per infezioni che non possono essere curate a causa della resistenza agli antibiotici, mentre a livello mondiale, rispetto a questo problema, si stimano 10 milioni di morti ogni anno entro il 2050.

L’uso inappropriato di un antibiotico può nascere da una scarsa conoscenza circa le modalità corrette di utilizzo di quest’ultimo e dall’assenza di una valutazione medica. Per curare le comuni infezioni delle vie respiratorie superiori, quelle di origine virale come ad esempio raffreddore, influenza e, nella maggior parte dei casi il mal di gola, gli antibiotici molto spesso non sono necessari, proprio perché si tratta di infezioni sostenute da virus, contro i quali gli antibiotici non esplicano alcun effetto terapeutico. Utilizzare frequentemente gli antibiotici, per l’appunto, porta a sviluppare un adattamento di alcuni microrganismi che acquisiscono la capacità di sopravvivere, resistere e, perfino, proliferare in presenza di una concentrazione di un agente antibatterico, generalmente sufficiente ad inibire o uccidere microrganismi della stessa specie, rendendo, così, l’azione dell’antibiotico inefficace. Parlando di mal di gola, ad esempio, anche AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco – ha ormai accertato che in 9 casi su 10il mal di gola è di origine virale e non batterica, e quindi non necessita dell’assunzione dell’antibiotico per la sua cura. Ciò nonostante, in Italia, il mal di gola rappresenta, tra le patologie elencate, quella con la più alta percentuale di utilizzo inappropriato di antibiotici, come evidenziato nel rapporto nazionale del 2021 redatto proprio dall’AIFA sull’utilizzo degli antibiotici in Italia. «Il mal di gola costituisce uno dei motivi più comuni per cui i pazienti si rivolgono al proprio medico e può avere un impatto negativo sostanziale sulla vita quotidiana di un individuo» sostiene Aurelio Sessa, specialista in medicina interna. «Sebbene doloroso e autolimitante, in molti casi si risolve entro 3-7 giorni, anche spontaneamente. Tuttavia, il disagio causato dai sintomi spinge i pazienti verso la richiesta e l’uso inappropriato degli antibiotici, fattore che contribuisce al crescente problema della resistenza antibiotica. Per il trattamento sintomatico del mal di gola possono risultare utili le formulazioni di FANS da somministrare a livello locale, come ad esempio quelle a base di flurbiprofene, poiché Il sollievo sintomatico conseguente all’applicazione locale di FANS rappresenterebbe quindi un fattore rilevante per i pazienti, in grado così di ridurre l’uso inappropriato degli antibiotici» conclude Sessa. Dall’indagine, condotta da IQVIA per Reckitt, emerge, inoltre, come il medico di medicina generale continui ad essere il punto di riferimento per il paziente nella ricerca di informazioni (53%). Detto ciò, però, preoccupa il dato secondo cui 1 italiano su 2 non ha mai sentito parlare di antibiotico-resistenza e ancor di più, tra coloro che dichiarano di non averne sentito parlare, il 49% la definisce erroneamente e semplicemente come inefficacia dell’antibiotico, mentre il 45% pensa che questo fenomeno non possa diventare un vero e proprio problema. Ad aggravare ulteriormente la situazione, poi, ci sono le percentuali legate alle modalità di utilizzo degli antibiotici: il 41% non collega la resistenza all’antibiotico alla sua assunzione senza una reale necessità, il 49% è propenso ad utilizzare un antibiotico che ha già a disposizione a casa senza una nuova prescrizione e il 46% utilizzerebbe erroneamente antibiotici anche per curare infezioni virali, come l’influenza, senza approfondire con il medico.

 

Fonte: askanews.it